«Io so dove cercare»
Uh, che bello, ogni tanto dal passato recente spunta qualche bel lavoro, fortunatamente.
È il caso di Equals, un film del 2015 ad opera di uno sconosciuto Drake Doremus, che ne firma sia la regia che la trama, con l’insolita accoppiata formata dalla giovani star Kristen Stewart e Nicholas Hoult.
Da noi in Italia è uscito (in sordina) nel 2016 e non è certo uno dei titoli più celebri del genere fantascientifico, però vale davvero la pena di essere visto soprattutto perché è misteriosamente attuale.
Ci troviamo in un futuro non troppo lontano, un mondo asettico e asfissiante nel quale il “Collettivo” è l’oligarchia tirannica che ha trasformato gli uomini e le donne in robot privi di emozioni e di umanità.
Creati in provetta, controllati costantemente da un “Grande Fratello” digitale, gli individui vengono mantenuti sani e produttivi dal luciferino governo invisibile, ognuno ha il suo monolocale, il suo impiego, il suo diritto alla passeggiata nel verde, la sua assistenza sanitaria e così via.
In cambio dedicano interamente la loro esistenza alla produttività, alla sicurezza del sistema oligarchico e alla propaganda, incapaci di provare il pur minimo sentimento di empatia.
Echi che rimandano non solo al classico 1984 di George Orwell, ma anche al meno conosciuto romanzo degli anni ’20 Noi di Yevgeny Zamyatin.
Esistono ancora esseri umani reali in questo mondo distopico ma si trovano all’esterno dell’area “civilizzata”, abbandonati a loro stessi e costretti a sopravvivere tra le macerie delle antiche metropoli distrutte da una qualche fantomatica guerra mondiale.
Poi, col tempo, si sviluppa una nuova malattia mortale tra gli “Equali” del titolo: la S.O.S. ovvero una sindrome che li porta a suicidarsi in un periodo di tempo variabile in base alle loro risorse personali e alla loro collaborazione col sistema sanitario del “Collettivo”.
Neanche a dirlo, la terribile epidemia altro non è che il naturale e graduale recupero delle emozioni umane, le quali, dopo generazioni di brutalizzante bio-ingegneria, riaffiorano nei sogni degli individui accompagnandoli in un normale processo di ri-umanizzazione.
Prima c’è il fastidio, l’ansia, la paranoia, poi via via ecco il bisogno di contatto fisico, i sogni e gli incubi, l’affettività, le passioni, fino alla completa progettualità psichica di un individuo sano di mente.
In tal senso è del tutto ovvio che, in una simile società disumanizzata, quelli che arrivano a risvegliarsi completamente scelgano il suicidio piuttosto che continuare a vivere una simile esistenza da macchine.
Il regista riesce incredibilmente nell’impresa di rappresentare questo lento e graduale risveglio umano nelle figure rigide e fasulle dei protagonisti.
Ma c’è ancora di più, come dicevamo all’inizio. Nel 2015, una storia simile sarebbe stata davvero fantascientifica, ma oggi?
Guardate come vivono i personaggi. Il microchip al posto del badge per entrare in ufficio. Il sistema sanitario totalitario che IMPONE la cura all’intera popolazione. L’eguaglianza che si traduce nel noto motto del sergente Hartman di Full Metal Jacket: “Qui siamo tutti uguali: non conta un cazzo nessuno”.
La proibizione del contatto umano e l’obbligo del distanziamento sociale.
Ogni uomo e ogni donna non è altro che una merce, un’unità di produzione, una sorta di utile vegetale da coltivare pacificamente affinché il sistema si possa nutrire di lui.
Siamo sicuri che questo tipo di mondo sia così fantascientifico e lontano da noi? E cosa scelgono di fare i due protagonisti alla fine del film?
Una riflessione oggettiva e meditata è decisamente consigliata, a nostro avviso.