L’esplorazione della condizione umana in tempo di guerra
Ha da poco conquistato il Premio come Miglior Documentario 2020 al nono “Festival del Cinema Città di Spello ed i Borghi Umbri – Le Professioni del Cinema” il lungometraggio di Maria Luisa Forenza Mother Fortress, un’opera vissuta in prima linea raccontando in un monastero siriano la pericolosità quotidiana delle vite dei religiosi, e seguendo convogli umanitari di pronto soccorso che dall’antico villaggio cristiano di Qarah si sono spinti attraverso terreni minati dagli opposti fronti della guerra terroristica: Homs, Aleppo, sino a raggiungere Raqqa, Deir Ezzor e il fronte del fiume Eufrate.
La motivazione con cui la giuria ha decretato il riconoscimento è stata la seguente: “Per aver saputo raccontare il coraggio di una fede che è riposta più nell’uomo che nel divino, per aver puntato un faro su una zona d’ombra del mondo e della nostra storia, per aver delineato i contorni del coraggio di una donna che combatte una guerra silenziosa con l’arma della bontà.”
La regista sarà nostra ospite in un evento speciale in anteprima nazionale per narrare della sua esperienza umana e artistica che l’ha condotta a realizzare, in più riprese dal 2014 al 2017, un film-documentario oggettivo e antiretorico, definito recentemente da Alfredo Baldi “miracolo di sapienza narrativa, raggiunta attraverso la semplicità, la sincerità e la sottrazione”.
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Iniziativa in collaborazione con il Comune di Amelia e con la Delegazione del FAI di Terni
AMELIA (TR)
ARENA CHIOSTRO DI SAN FRANCESCO
P.zza Augusto Vera, 10
Domenica 6 settembre – ore 21.00
MOTHER FORTRESS
Regia di Maria Luisa Forenza
Italia, 2019, 78 min.
Sarà presente la regista Maria Luisa Forenza
Presentazione a cura di Francesco Patrizi, critico cinematografico
Madre Agnes, assieme a monaci, monache provenienti da Francia, Belgio, Portogallo, Libano, Cile, Venezuela, Colorado-USA (di cui alcuni ex-giornalisti), affronta gli effetti della guerra in Siria sul suo monastero, situato ai piedi delle montagne al confine con il Libano dove ISIS insidiosamente si nasconde.
Nonostante sia esso stesso obiettivo di attacchi, il monastero accoglie orfani, vedove, rifugiati (cristiani e sunniti), vittime di una guerra fratricida che dal 2011 ha prodotto caos e devastazione.
Organizzando un convoglio di ambulanze e camion, che percorrono strade controllate da cecchini, Madre Agnes persegue la rocambolesca missione di fornire aiuti umanitari (cibo, vestiti, medicine) ai siriani rimasti intrappolati nel paese.
Esplorazione non della guerra, ma della condizione umana in tempo di guerra, il film è un viaggio fisico e spirituale, una ‘storia d’amore’ con destinazione Roma dove il senso del racconto si rivela…
Maria Luisa Forenza
Laureata in Lingue e letterature straniere, si diploma in Regia al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma con Duetto tratto dai “Racconti romani” di A.Moravia, e interpretato da Giulio Brogi. Assistente per Dino Risi, Francesco Maselli, Giancarlo Sepe, dopo un’esperienza a Belgrado con D.Makavejev, si dedica prevalentemente a documentari dal forte taglio storico-sociale, girati in Italia e all’estero, con produzione e distribuzione RAI, Rai-Trade, HISTORY CHANNEL (US-UK), NETFLIX. Fra questi: Guatemala Nunca Mas (con Rigoberta Menchù, Premio FNSI), Mussolini: l’ultima verità, Albino Pierro: inchiesta su un poeta, da cui nasce uno spettacolo teatrale multilingue con Agneta Eckmanner, in scena a Roma e Stoccolma.
Concependo la regia come appassionante lavoro di ricerca, continua ad esplorare frontiere multidisciplinari che si inverano nel racconto nato sul campo dall’incontro umano. Mother Fortress, film-documentario nato da esperienze maturate fra Bari e San Francisco, girato in Siria durante la guerra (2014-17), ha ricevuto al Tertio Millennio Film Fest la Menzione Speciale della Giuria. Finalista ai Nastri d’Argento 2020 per “Cinema del Reale”, ha vinto il Premio Miglior Documentario al Festival del Cinema di Spello 2020.
https://www.facebook.com/marialuisaforenza/
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NOTE
Ingresso con tessera OV 2020 e sottoscrizione
Graph. Roberta Boccacci
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Mother Fortress, di Maria Luisa Forenza
riflessioni di Alfredo Baldi
Roma, 23 agosto 2020
Per giudicare questo film oggi, estate 2020, dobbiamo anzitutto sapere che è stato realizzato in più riprese, nel corso di vari viaggi della regista Maria Luisa Forenza in Siria, nel 2014-17, quando ancora vaste porzioni del territorio di quel paese erano occupate dall’ISIS, l’autoproclamato stato islamico, i cui governanti e membri attivi hanno dimostrato una ferocia e un disumanità veramente agghiaccianti, almeno per il comune sentire di noi cittadini del ricco occidente.
Ho visto il film più di una volta, perché la storia mi ha talmente preso che ho sentito il bisogno di rivederlo, di approfondirlo. Mi è piaciuto – per dirla banalmente – perché, contrariamente a (quasi) tutto quello che si vede oggi, sia al cinema, sia in televisione, sia su qualunque altro mezzo tecnologico di riproduzione di immagini, si tratta di un film assolutamente anti-retorico, privo di qualsiasi enfasi, di qualsiasi sottolineatura, di qualsiasi abbellimento.
In linea generale, quando voglio esprimere un giudizio critico su un film o qualunque altro prodotto audiovisivo, mi piace analizzarlo confrontandomi con la “immagine-sguardo”, un concetto mutuato dalla semiologia del cinema. L’immagine sguardo definisce la posizione nella quale si pone il regista, e di conseguenza viene posto lo spettatore, rispetto al racconto e ai personaggi. Ecco, Mother Fortress è un film che propone uno sguardo assolutamente oggettivo. La camera, la macchina da presa, è impassibile, segue i personaggi, li tallona senza nessuna emozione; ma proprio per questo motivo ci provoca un’emozione fortissima, poiché ci fa sospettare che a ogni momento, a ogni istante possa succedere qualcosa. Infatti il contesto – il conflitto, in territorio siriano, tra l’ISIS e la coalizione formatasi per sconfiggerlo – è talmente drammatico, che ci aspettiamo continuamente, senza soluzione di continuità, che possa accadere qualcosa: qualche agguato, qualche sparatoria, lo scoppio di qualche ordigno. Anche quando dalle colline all’orizzonte vengono sparati dei colpi, addirittura delle cannonate, sulla troupe che si sta trasferendo su alcuni blindati da un luogo a un altro, visivamente non succede assolutamente niente, la camera trema un po’, si sposta, la macchina parte via di corsa, ma tutto qui: questa è tutta l’emozione che ci concede la regista. La quale si guarda bene dallo sciorinarci le inquadrature che segnalano, nei codici della visione cinematografica, forme psicologicamente condizionate – spavento, emozione, pericolo – come la macchina da presa che trema, oppure che si inclina su un lato, ovvero che alza o abbassa il suo punto di vista, o distorce le immagini, mentre l’audio accompagna le distorsioni visive con altrettante percepibili e concrete distorsioni sonore. No, Maria Luisa Forenza non ci mostra nulla di tutto questo, la macchina da presa nelle sue mani rimane impassibile. E l’audio è quello originale, senza falsi arricchimenti. Una cosa da non credere.
E poi il secondo aspetto, non meno importante, di straordinarietà, di unicità, riguarda il fatto che, nonostante che il film sia stato girato in un convento, il Monastero di San Giacomo il Mutilato, ai piedi delle montagne al confine con il Libano, e che la protagonista sia una suora, Madre Agnes, e con lei molte altre suore e frati di varie nazionalità, ci troviamo di fronte a un film assolutamente laico, dove la religione che è pur presente dappertutto, sottesa in ogni momento, non viene mai presa a pretesto, a giustificazione del compimento di qualsiasi (buona) azione. Anche la distribuzione dei viveri, da parte delle suore, alle popolazioni, che è molto importante nella seconda parte del film, viene fatta non in nome di Dio, ma in nome del prossimo. Con grande semplicità nel racconto da parte di Maria Luisa.
Inoltre ho notato che Maria Luisa non ha mai usato lo zoom, artificio tecnico con cui è facile dare un’emozione: uno zoom in avanti o indietro, l’emozione arriva. Lei invece l’emozione ce l’ha data attraverso inquadrature fisse, o con carrelli o panoramiche, ma senza usare questo mezzo, questo espediente del cinema, pure assolutamente lecito. E’ stata di un rigore estremo. L’emozione permane in ogni momento perché in ogni momento ci si aspetta che succeda qualcosa, che possa succedere qualcosa. Quindi c’è una tensione continua, ma una tensione interna all’inquadratura, non provocata dall’esterno.
In definitiva, mi sento di poter dire che Mother Fortress è un miracolo, non solo produttivamente, trattandosi di un’opera praticamente autoprodotta, ma soprattutto un miracolo di sapienza narrativa, raggiunta attraverso la semplicità, la sincerità e la sottrazione.
Alfredo Baldi è critico cinematografico e storico del cinema, docente all’Università La Sapienza e al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dove ha ricoperto anche l’incarico di Direttore della Cineteca Nazionale.
Negli anni ’80 ha conosciuto al Centro Sperimentale di Cinematografia, ed in seguito ha felicemente sposato, l’attrice Milena Vukotic.