L’alieno caduto sulla Terra

Omaggio oltrevisibile al Duca Bianco

(Londra, 8 gennaio 1947 – New York, 10 gennaio 2016)

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Essere al sicuro è l’ultima cosa che voglio. Voglio andare a letto tutte le sere dicendo ‘se non dovessi più svegliarmi, posso almeno dire di avere vissuto da vivo’ (David Bowie 1976).

Dalle pantomime glam all’elettronica preveggente del periodo berlinese… Dalle ballate spaziali alle scorribande nei territori r’n’b e dance… Dagli show multimediali alle incursioni sul set…

Vita, segreti e opere di David Robert Jones, il dandy caduto sulla terra, l’artista “globale” che ha introdotto una nuova concezione del rock…

Sono un narratore, un menestrello elettronico (David Bowie 1973).

Amelia (TR)

Sala comunale F. Boccarini

P.zza Augusto Vera, 10

Proiezione speciale

Sabato 16 gennaio – ore 18.00

DAVID BOWIE – SOUND & VISION

Un film di Rick Hull

durata 86 min. – Gran Bretagna 2002

Sound & Vision illustra la virtuale poetica del trasformismo di David Bowie, con un rigoroso rispetto della cronologia degli eventi, privati e artistici, dà linearità e continuità alla incessante rimessa in discussione di sé, permettendoci di considerarlo come l’autentico lievito che ha dato alla sostanza di artista di Bowie il senso di un vagabondismo culturale che egli ha saputo imporre sia come indefettibile marchio di fabbrica sia come formula magica grazie alla quale egli si è scavato una doverosa e confortevole nicchia nel Parnaso degli artisti totali.

Note

Entrata con tessera OV 2016 e sottoscrizione

Graph Roberta Boccacci

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Claudio Fabretti, OndaRock

“David Bowie, ovvero uno, nessuno e centomila. Cinquant’anni di carriera all’insegna delle metamorfosi, dell’incessante ansia di percorrere e precorrere i tempi: “Time may change me, but I can’t trace time” (“Changes”, 1971) è da sempre il suo credo. Un genio mutante, dunque.

Ma il trasformismo è solo la più appariscente tra le arti di questo indecifrabile dandy, incarnazione di tutte le fascinazioni e contraddizioni del rock e, in definitiva, della stessa società occidentale. Nessuno come lui ha saputo mettere a nudo i cliché della stardom, il rapporto morboso, ma anche ipocrita, tra idoli e fan, il falso mito della sincerità del rocker, l’assurdità della pretesa distinzione tra arte e commercio. Bowie è stato anche uno dei primissimi musicisti a concepire il rock come “arte globale” (pop-art?), aprendolo alle contaminazioni con il teatro, il music-hall, il mimo, la danza, il cinema, il fumetto, le arti visive.

Con lui scompare ogni confine tra cultura “alta” e “bassa”. Perché – secondo una sua stessa felice definizione – “è insieme Nijinsky e Woolworth”. E’ grazie ai suoi show che il palcoscenico del rock si è vestito di scenografie apocalittiche, di un’estetica decadente e futurista al contempo, retaggio di filosofie letterarie e cinematografiche, ma anche dell’arte di strada dei mimi e dei clown.

E in ambito musicale la sua impronta è stata fondamentale nell’evoluzione di generi disparati come glam-rock, punk, new wave, synth-pop, dark-gothic, neo-soul, dance, per stessa ammissione di molti dei loro esponenti di punta.

Ma Bowie è anche la prova definitiva che la critica rock è una scienza inesatta. Nessuno come lui ha fatto accapigliare critici e pennivendoli del globo. Oggi, all’alba di un nuovo millennio, sono rimasti davvero in pochi a contestarne il ruolo di innovatore e precursore del rock. Pochi, e spesso in malafede. Perché Bowie è tra i più amati, ma anche tra i più odiati miti della musica popolare contemporanea. Difficile da metabolizzare – specie per le frange critiche meno provviste d’ironia – il suo atteggiamento da primadonna altezzosa, ma soprattutto la sua eterodossia rispetto ai sacri dettami del rock: il suo uso spregiudicato dell’immagine, la sua ostentata artificiosità, il suo voler essere artista d’avanguardia vendendosi al pubblico come una starlette di Broadway”.