Meraviglie filmiche e lirismi così maestosi da sfiorare il cielo .. e ancora più su!!
Questa settimana l’iniziativa dell’ass. cult. Oltre il Visibile, dal titolo La poesia dell’immagine, è dedicata tout court agli “amanti del cinema” (Sala Flavio Boccarini, P.zza Augusto Vera, Amelia).
Sono stati selezionati tre lungometraggi che, a nostro modesto avviso, appartengono a quella cerchia ristretta de “i più belli di sempre”: tre capolavori, di diritto, che sono e saranno per sempre parte imprescindibile della storia del cinema.
Stiamo parlando di Dersu Uzala, di Akira Kurosawa; Stalker, di Andrej Tarkovskij; La doppia vita di Veronica, di Krzysztof Kieslowski.
Tre trame dissimili, tre registi cresciuti con tre scuole di pensiero cinematografico diverse, eppure un solo fine comune nella loro personalissima ricerca visiva: la poesia dell’immagine.
Sono registi di cui inevitabilmente si sente la mancanza in questo periodo di carestìa cinematografica, tre maestri di eccezionale rilevanza artistica, dotati di personalità e sensibilità uniche, attorno cui hanno costruito il loro particolare modo di osservare e con cui hanno saputo esprimere in immagini e poesia l’evoluzione e il decadimento dell’uomo.
Tre poeti della settima arte.
La (non) casualità delle cose vuole che questi tre film nascano da particolari momenti vissuti dai tre registi e nel contempo che essi rappresentino un punto di svolta nella carriera artistica dei tre cineasti: Dersu Uzala rappresenta il ritorno del maestro Kurosawa sulla scena cinematografica dopo il tentato suicidio del ’71; Stalker è l’ultimo film che Tarkovsky girò in URSS e rappresenta la rottura definitiva del regista russo nei confronti del regime sovietico, che sempre tenterà di ostacolare il suo genio; La doppia vita di Veronica è la prima esperienza cinematografica fuori dalla Polonia di Kieslowski ed è il film che aprirà la strada al regista polacco verso la notorietà e la consacrazione internazionale.
Tre opere dunque che segnarono in epoche diverse la vita dei tre registi e che ancora oggi esprimono una potenza visiva a tratti inimitabile.
Questi lungometraggi ci mostrano come il cinema non abbia dimenticato lo stretto legame che intercorre tra l’immagine in movimento e la fotografia, due arti che confluiscono in un’unica espressione per dar vita a uno spettacolo visivo coinvolgente e di raffinata bellezza.
Ecco il programma dettagliato.
Si parte venerdì 25 ottobre (ore 21.00) con la proiezione di Dersu Uzala (URSS, Giappone 1975), dove Kurosawa mette in scena un lirismo così maestoso da sfiorar il cielo e .. ancora più su.
Il maestro giapponese veniva da un lungo e tormentato periodo di depressione che culminò nel tentato e (per fortuna) incompiuto suicidio del ’71.
Quell’esperienza lo scosse così profondamente da ricondurlo sul set più motivato e ispirato di prima. E l’istinto primitivo nei confronti della vita, con cui Kurosawa torna sulla scena cinematografica mondiale, è il tema predominante di Dersu Uzala.
Il film è l’espressione di un universo umano che solo nel proprio intimo legame con la natura riesce a ritrovar se stesso. Il piccolo grande Dersu (interpretato splendidamente da Maksim Munzuk), un cacciatore figlio della taiga, è il simbolo atavico e inequivocabile di come l’uomo sia una creatura della terra, di come la natura gli appartenga e di come lui appartenga ad essa in una condizione pagana di reciproca armonia.
Kurosawa ci mostra come la poesia delle sue inquadrature prenda forma attraverso la natura: una natura impregnata di vita e di morte, che si trasforma con il passare delle stagioni in un essere avverso se non lo si rispetta e in un essere di cui goderne i frutti se lo s’impara a conoscere.
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Un esempio ancor più poetico e intenso del rapporto filosofico uomo-natura è Stalker (URSS, Russia, Germania 1979), in programma il giorno dopo, sabato 26 ottobre (ore 21.00) e la cui lettura e introduzione è affidata alla sapiente maestrìa di Francesco Patrizi, critico cinematografico.
Il quinto film di Tarkovskij, tra tutti quelli della rassegna probabilmente il più dirompente sul piano visivo, è una summa cinematografica sull’ignoto che affonda le proprie radici nella filosofia, nella sacralità dell’essere umano, nella natura che lo circonda e nell’enigma della sua esistenza.
Tarkovskij ci mostra con le sue eterne incessanti carrellate un territorio post-apocalittico (la “Zona”) di cui lo stalker è figlio. Lo stalker tarkovskijano (interpretato splendidamente da Aleksandr Kaidanovsky) è una figura che sa come muoversi nella terra “magica” della Zona e il legame simbiotico che stabilisce con essa è per certi versi edipico. Egli è l’unico in grado di conoscerne i pericoli ed i benefici, l’unico che possa guidare al suo interno uno scienziato e uno scrittore alla ricerca di una misteriosa Stanza dei Desideri dentro cui nessuno è mai entrato e che, una volta al suo interno, si dice possa esaudire ogni desiderio.
Nell’universo di Stalker (ma in quasi tutti i film di Tarkovskij) l’acqua è il vero elemento poetico predominante, il mezzo in grado di donare la reminiscenza e la vista a un essere umano ormai accecato dall’oscura ricerca della conoscenza; nella Zona l’acqua è viva e pulsa instancabilmente al ritmo del cuore del cosmo.
Non è difficile scorgere una forte somiglianza tra il Dersu di Kurosawa e lo stalker di Tarkovskij: i due personaggi condividono molto del loro idiosincratico rapporto con la natura, e indubbie sono le affinità concettuali tra la taiga e la Zona. Tutto ciò, non a caso, va ad enfatizzare un sentimento di ammirazione reciproca manifestatosi in passato tra i due registi.
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E un senso di ammirazione non si può non provarlo per La doppia vita di Veronica (Polonia, Francia, 1991), il capolavoro di Kieslowski, che chiude la Rassegna domenica 27 ottobre (ore 18.00 – introduzione al film affidata a Giusuè Quadrini, autore e critico cinematografico).
Anche qui la poesia c’è tutta, ed è la bellezza.
In primis quella di Irène Jacob, che altri non è che Afrodite discesa dall’Olimpo per affascinare con la sua sublime meraviglia lo spettatore; in secundis l’occhio del regista, che sta a Kieslowski come la mano sta a Caravaggio ed in tertiis le struggenti musiche di Zbigniew Preisner (che nei titoli del film compare con lo pseudonimo di Van den Budenmayer).
Ecco, questi tre elementi costituiscono una forza espressiva disarmante: Kieslowski, Jacob e Preisner sono un unico nucleo talmente ben amalgamato da non poter far a meno di emozionarsi.
È infatti impossibile scindere in questo film la recitazione dalla regia e la regia dalla musica: sono un tutt’uno; e uno trascina l’altro in un vortice di percezioni sensoriali difficilmente trascurabile.
Tentare di spiegare o comprendere il senso di questo film è pressoché inutile: questo è un film “da sentire più che da capire razionalmente” (Il Morandini).
Nello stesso modo in cui si legge una poesia di Neruda o un racconto di Poe: la forza trainante è il sentimento che scaturisce dall’immaginazione di una realtà trascendente.
L’iniziativa è in collaborazione con il Comune di Amelia, Ass.to alla Cultura
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